Le acque in bottiglia

Costano caro, ma saranno veramente buone?

Costa dalle 500 alle mille volte più di quella del rubinetto: vorrà dire che è veramente migliore? E, soprattutto, è necessaria?

Sono molti gli esperti critici su questo aspetto. Tra le acque “di marca” e quelle “del sindaco” – fornite in ogni casa dagli acquedotti comunali – ci sono differenze non solo piccolissime, ma, a volte, anche più favorevoli al rubinetto piuttosto che a quella imbottigliata. A essere pignoli, infatti, tutte le acque sono “minerali”. Tutte, in altre parole, provengono da falde profonde che attraversano terreni di varia natura, arricchendosi dei sali minerali più abbondanti nella zona. Acqua distillata, in natura, non esiste e le differenze riguardano (a quantità e la qualità dei sali disciolti. Per questo la prima grande classificazione delle acque potabili si basa su quel “residuo fisso” che misura cosa resta dopo l’eliminazione dell’acqua in sé e che decresce dalle “ricche di minerali” (residuo fisso maggiore di 1.500 milligrammi per litro) alle “minerali” (residuo fisso compreso tra 500 e 1.500 milligrammi per litro) alle oligo-minerali (residuo fisso compreso fra 50 e 500 milligrammi per litro) e alle minimamente mineralizzate (con residuo fisso inferiore a 50 milligrammi per litro).

Tradizione vuole che le acque ricche di minerali siano accusate di provocare i calcoli renali, ma nessuna ricerca ha mai confermato questa credenza.

La preferenza per le oligominerali si è comunque consolidata nel tempo (specialmente in tempi ossessionati dalla “ritenzione idrica” e dall’ipertensione) e i dati di mercato mostrano che agli italiani piacciono soprattutto le “oligominerali lisce”. Qualcosa che, ancora una volta, assomiglia molto a quello che esce dal rubinetto della cucina.